Thursday, October 30, 2008

La prova di fine corso

La prossima settimana sarà comunicata in aula la modalità di prova di fine corso. Si stanno valutando alcune ipotesi. Ogni Vostro suggerimento sarà utile. Date il Vostro contributo, anche in relazione alle Vostre aspettative. Il docente

Tuesday, October 28, 2008

Esercitazione sul mercoledi' di campionato

Guarda, a piacimento, una partita del turno infrasettimanale. Osserva attentamente e riporta, in modo giornalistico, i comportamenti tenuti in campo dai giocatori, dall'allenatore e dall'arbitro. Prova a scrivere sul blog una brevissima relazione, tralasciando qualsiasi commento.

Sunday, October 26, 2008

La lezione del 28 ottobre su motivazione

In attesa di affrontare, in modo sistematico, l'argomento in aula, dite la vostra su cosa sia la motivazione, quali sono i fattori che la determinano, in che modo si può accrescere. Fate qualche esempio, tratto da casi (aziendali e non) a Voi noti.

La lezione del 27 ottobre: Atteggiamenti

In che modo l'atteggiamento può influenzare il comportamento di un individuo all'interno di un'organizzazione? E in che modo l'atteggiamento individuale può influenzare un gruppo?
Nel godervi un simpatico video in cui Crozza, facendo l'imitazione dell'ex allenatore Sacchi parla di atteggiamento (http://www.youtube.com/watch?v=ZFs_8GPUHhY), siete in grado di fare qualche esempio concreto?

Tuesday, October 21, 2008

Capire il cervello

Guardate questo video pubblicato su You Tube: http://it.youtube.com/watch?v=lsHB55ppSv4

Il "Big Five" test

Su indicazione di un Vostro collega, Vi indico un sito sul quale è disponibile, in Inglese, una versione "light" del Big Five Test sulla personalità. http://www.outofservice.com/bigfive/. Provatelo e riscontrate eventuali difformità o convergenze rispetto al profilo di personalità che immaginate di avere.

Il tema della personalità

L'abbiamo definita, in aula, in linea con la definizione del testo, l'insieme delle caratteristiche psicologiche (psichiche e comportamentali) di un individuo, relativamente stabili nel tempo. Quali aspetti vi hanno maggiormente incuriositi? Quali ritenete meritano ulteriore approfondimento?

Monday, October 20, 2008

I "key indicators" delle performance organizzative.

Come discusso oggi in aula, in occasione della lezione inaugurale del corso, la performance di un'organizzazione o di un gruppo organizzato è valutabile su un piano diverso rispetto alla strategia, al marketing o ai processi produttivi. Dunque, quali sono i "key indicators" (gli indicatori chiave) delle performance organizzative? Proviamo ad aprire un dibattito.Il Docente.

Saturday, October 18, 2008

L'Organizzazione Aziendale e la metafora del prisma.

L'insegnamento di Organizzazione Aziendale si colloca al III anno del corso di laurea di Economia Aziendale. Pur non richiedendo alcuna propedeuticità, la frequenza all'insegnamento e la partecipazione alla prova d'esame richiedono il possesso di alcuni fondamentali saperi minimi di ingresso: elementi di economia e gestione delle imprese; di tecnica industriale e commerciale e di marketing; di ragioneria generale e di programmazione e controllo. Il docente raccomanda vivamente agli studenti di iniziare la preparazione all'esame di Organizzazione Aziendale, solo dopo aver acquisito i saperi minimi precedentemente enunciati. L'insegnamento di Organizzazione Aziendale, in effetti, completa il quadro delle discipline aziendali studiate durante il triennio. C'è un "filo logico" che collega i diversi insegnamenti di matrice aziendale ed è corretto, pertanto, che lo studente abbia acquisito tutte le conoscenze necessarie per presidiare correttamente e avere padronanza dei concetti e dei temi affrontati dall'Organizzazione Aziendale.

Nello studio dell'Organizzazione Aziendale, in particolare, l'impresa è analizzata come fosse un prisma. E' noto che nella geometria solida, un prisma è un poliedro le cui facce sono due poligoni identici di n lati (le basi) poste su piani paralleli e connesse da un ciclo di parallelogrammi (le facce laterali). Allo stesso modo, l'impresa è vista nei due sui principali "poligoni": quello umano e quello strutturale. L'uno non può prescindere dall'altro. Entrambi influenzano significativamente i livelli di performance organizzativa.

Se si analizza il profilo umano, entrano in gioco elementi fondamentali quali la personalità degli individui, gli atteggiamenti individuali, i diversi livelli di motivazione, le emozioni, lo stress e poi via via la formazione e l'evoluzione dei gruppi, i processi decisionali (collettivi), i processi di comunicazione, i processi conflittuali, le dinamiche di potere e di leadership.
Se si analizza il profilo strutturale, l'analisi si sposta sul piano della comprensione dei modelli organizzativi, della gestione delle risorse (umane), dei modelli culturali interni (a sua volta influenzati da quelli culturali del Paese) e del cambiamento organizzativo.
I due profili sono estremamente connessi. La struttura organizzativa di un'impresa dipende, a parità di condizioni, dalle modalità di interazione fra i diversi individui che ne fanno parte; non tutti gli individui, tuttavia, hanno eguali responsabilità, autorità e potere. A sua volta, i comportamenti dei soggetti sono fortemente influenzati dalle caratteristiche strutturali che assume un'impresa (alcune di queste caratteristiche sono studiate nel corso di Tecnica Industriale e Commerciale).
Il corso di Organizzazione Aziendale, pur richiamando sovente elementi tematici dalle discipline di psicologia, psicologia sociale, sociologia organizzativa, etc... mantiene rigorosamente un "taglio aziendale". In ultima analisi, infatti, attraverso lo studio delle tematiche organizzative si intende comprendere, da un altro angolo visuale, come l'impresa riesca a migliorare, nel corso del tempo, il differenziale ricavi-costi che ne determina i livelli di competitività.

Un intervento di Sergio Marchionne sul cambiamento organizzativo in Fiat



La storia della Fiat richiede di essere collocata e compresa all'interno del contesto sociale in cui il turnaround è stato realizzato. Gestire un'impresa in Europa significa prima di tutto avere a che fare con un modello di capitalismo che ha caratteristiche molto specifiche. Alcuni economisti sono convinti che il sistema europeo — per migliorare produttività, efficienza e profitti — debba convergere verso il modello americano. Non credo che questo tipo di convergenza sia possibile nel medio termine, ma non credo neppure sia auspicabile. Le organizzazioni europee sono nate e cresciute in un terreno culturale fertilizzato da due condizioni storiche: una tradizione di apertura al mercato relativamente recente e un forte senso di responsabilità sociale. Non esiste un unico modello di capitalismo. Stati Uniti, Asia, Europa sono tutti in competizione fra loro ma nessuno converge verso nessun altro. L'unico denominatore comune è il mercato. Queste organizzazioni danno il meglio di sé quando sono messe a bagno nella concorrenza aperta e globale.
È il concetto di responsabilità sociale che differenzia l'Europa dagli Stati Uniti. Secondo un'analisi dell'Ocse, la spesa pubblica sociale è circa il 27% del Pil in Francia, Germania e Italia — in Svezia addirittura il 38% — mentre si aggira intorno al 16% negli Usa. La differenza tra i livelli di spesa pubblica — europeo e americano — si manifesta in modo evidente a partire dal 1975. Da quel momento vi è un notevole aumento della spesa in Europa mentre in Usa si mantiene costante nel tempo. Indagare quali siano i motivi è compito dei politici. Qualunque sia la ragione, queste differenze esistono e chiunque operi in Europa deve considerare questo particolare contesto sociale e politico. Sono convinto, non solo sulla base della mia esperienza in Fiat, ma anche in altre realtà industriali europee, che si può e si deve cercare il dialogo costruttivo. E che le soluzioni si possono trovare.
In Fiat abbiamo ottenuto risultati importanti sulla via del dialogo. Dopo dieci anni— e senza un'ora di sciopero, che è un caso più unico che raro per l'Italia— è stato rinnovato il contratto integrativo aziendale. Dopo dieci anni sono stati assunti in fabbrica i primi giovani, in cambio di turni straordinari di lavoro. Abbiamo siglato un importante accordo con le istituzioni locali per la riqualificazione di Mirafiori, il più grande complesso industriale italiano, che ha comportato anche l'avvio di una nuova linea di produzione e l'assorbimento della cassa integrazione congiunturale. I risultati raggiunti da Fiat dimostrano che trasformazioni simili sono possibili, anche in un Paese con una forte coscienza sindacale e con quello che la maggior parte dei commentatori anglosassoni chiamerebbero «struttura del lavoro poco flessibile». Se dovessi scegliere tra cercare di risolvere la relazione di General Motors con i suoi sindacati (Uaw) o di trattare i livelli occupazionali in Europa, io preferirei la seconda.
Non c'è dubbio che la produttività e la flessibilità rimangono gli elementi chiave del nostro sviluppo industriale. In questo contesto, l'Italia è decisamente indietro rispetto al resto dell'Europa, ma resto convinto che è sulla strada del dialogo costruttivo che i problemi si possono risolvere. Se una società liberale deve durare nel tempo, è nel suo interesse sostenere coloro che sono colpiti dal cambiamento.
L'Europa può e deve distinguersi nella creazione e nella gestione di mercati liberi, riconoscendo e trattando in modo efficace le conseguenze delle loro attività sui propri membri. E deve farlo in maniera onesta e giusta, senza cadere preda di certi meccanismi troppo protettivi che sono già in uso in alcuni paesi membri e che, soprattutto in Italia, possono seriamente minacciare la ripresa industriale del Paese. Ma l'impegno esiste e non può essere ignorato. Lo sviluppo di un'impresa non è solo una questione di tecnologia o di risorse finanziarie. È prima di tutto una questione di cultura. Le nostre imprese hanno bisogno di abbracciare la sfida del nuovo e pensare al futuro come a una grande opportunità. Hanno bisogno di un contesto trasparente e altamente competitivo. Hanno bisogno di vivere la cultura del cambiamento come una necessità. Di misurarsi ogni giorno sul merito, di fondare le proprie radici sui valori della concorrenza e del mercato. Quello che ogni Paese può fare è garantire che questa partita si giochi alla pari, che le opportunità siano le stesse offerte ad altre imprese in altri Paesi. In Italia non sempre queste condizioni sono così facili da trovare.
Qualche ragione c'è se gli investimenti esteri sono ancora così bassi. E queste ragioni si chiamano burocrazia, servizi, infrastrutture, tasse e costi di gestione. Dalla mia esperienza personale, ho visto che i vincoli burocratici alla fine proteggono aziende inefficienti, aziende che non hanno prospettive di sviluppo e nella maggior parte dei casi scaricano i costi sui clienti. La burocrazia non fa che alimentare se stessa. Perché porta la società a chiudersi a riccio, a proteggere quello che già esiste, senza mai affrontare le sfide del cambiamento. Allo stesso modo, ci sono altri elementi importanti per costruire un sistema economico che possa mostrarsi «attrattivo» non soltanto per chi opera già oggi in Italia ma anche per le aziende estere. Penso al miglioramento dei servizi pubblici, alla creazione di una rete di infrastrutture efficiente e moderna, a cominciare dal sistema viario e dei trasporti in genere. Ma penso anche alla riduzione della pressione fiscale e ad un tema come il costo dell'energia che in Italia è decisamente eccessivo rispetto al resto dei Paesi più industrializzati.
Tutti questi ragionamenti valgono a maggior ragione per il Sud Italia, dove è prioritario colmare il gap nei confronti del resto del Paese. Ma la prospettiva con cui ci si deve muovere non può essere quella assistenziale. La cultura dell'assistenzialismo produce dipendenza e spegne lo spirito di iniziativa e il senso di responsabilità. Il lavoro si crea solo se i meccanismi economici sono efficienti e se gli stimoli del mercato sono forti. In questo modo anche la cultura del cambiamento e della competizione possono trovare un terreno fertile. Credo che il caso della Fiat sia solo un esempio della ristrutturazione dell'industria in Europa e della forza positiva del cambiamento. Il nostro cambiamento è stato realizzato da un gruppo di manager internazionali, molti dei quali italiani, che hanno abbracciato l'idea della competizione globale e che sono disposti a mettersi in gioco e a coinvolgere gli altri stakeholders nel sistema economico per raggiungere i necessari livelli di competitività. Grandi organizzazioni sono il risultato dell'esercizio della leadership di uomini e di donne che comprendono il concetto di servizio, di comunità, di rispetto fondamentale per gli altri e che ispirano.
C'è una storia che oggi non vi ho raccontato. In un certo senso è troppo presto per raccontarla, è la storia della trasformazione personale dei leader che sono stati coinvolti nel rilancio della Fiat e delle persone che gestivano. Ci sono dozzine di esempi simili e indubbiamente più validi e significativi: General Electric negli ultimi 25 anni, prima con Jack Welch ed adesso con Jeff Immelt; la resurrezione di Ibm operata da Lou Gerstner, le esperienze di Robert Oppenheimer nel Manhattan project con il team che ha costruito la bomba atomica, l'incredibile vittoria di Bill Clinton nelle elezioni presidenziali del 1992. Ma l'elemento comune a tutti questi casi è che tutti hanno lasciato un segno indelebile sulla formazione e sulla crescita dei leader. Sono cambiati per sempre.
Stiamo imparando come si vive da sopravvissuti e stiamo sviluppando le capacità di pensare al futuro in modo aggressivo e positivo. E lo stiamo facendo in un paese che è stato spesso etichettato dall'Economist strutturalmente e cronicamente perdente con titoli quali «Arrivederci. dolce vita» e «Don't cry for me, Italia». Ma questa è la prova che c'è speranza per tutti noi: nemmeno gli inglesi hanno la capacità di andare oltre i limiti della credulità e dell'immaginazione. Dopo tutto, la storia della Fiat è la storia del potere della leadership e della mancanza di paura di un gruppo di leader integri impegnati a raggiungere gli obiettivi. Come dice Mel Gibson nel film Braveheart: «Gli uomini non seguono gli uomini. Gli uomini seguono il coraggio». E forse dobbiamo dare ragione a un teorico politico molto frainteso — Niccolò Machiavelli — che circa 600 anni fa disse: «Il ritorno al principio è spesso determinato dalla semplice virtù di un uomo. Il suo esempio ha una tale influenza che gli uomini buoni desiderano imitarlo e quelli cattivi si vergognano di condurre una vita contraria al suo esempio».
In Fiat stiamo costruendo un gruppo guidato da uomini e donne di virtù. Ed è grazie al loro coraggio e alla loro virtù se oggi posso concludere citando la fine del libro ‘‘Una storia tra due città'' di Charles Dickens e parafrasando le ultime parole: «It is a far, far better thing Fiat does, than it has ever done. It is a far, far better place it is going to than it has ever gone». Tradotto: «Fiat sta facendo molto, molto meglio di quanto non abbia mai fatto. Sta andando verso un posto migliore, molto migliore di quanto non sia mai stata».
Sergio Marchionne, 23 settembre 2007

Wednesday, October 15, 2008

Gli Autori del libro di testo



Henry L. Tosi è McGriff Professor of Management alla University of Florida. È stato Visiting Faculty Member presso la University of California-Irvine, la Emory University e la Cornell University e Visiting Professor presso l’Università Bocconi di Milano, l’HEC di Parigi, la LUISS di Roma, l’Università di Catania e l’Università di Modena. È stato presidente della Midwest Division of the Academy of Management e membro fondatore della Organizational Behaviour Division e della Research Methods Division dell’Academy of Management.


Massimo Pilati è professore di Organizzazione e Comportamento organizzativo alla Facoltà di Economia "Marco Biagi" dell’Università di Modena e Reggio Emilia e professore di Gestione del personale alla SDA Bocconi School of Management. È stato Visiting Faculty Member presso la University of Florida, Visiting Faculty Fellow presso la University of Limerick, Visiting Professor presso le Università di Vienna, di Sevilla, di Barcellona e della California, Santa Barbara. È membro del collegio docenti del dottorato di ricerca in Direzione aziendale dell’Università di Bologna.

Il libro di testo


Il libro di testo è "Comportamento Organizzativo", nella nuova edizione 2008 della casa editrice EGEA. Gli autori sono i Professori Henry Tosi (University of Florida) e Massimo Pilati (Università di Modena e Reggio Emilia). Chi fosse in possesso della edizione precedente, è invitato a procurarsi la nuova edizione che contiene, rispetto alla precedente, nuovi argomenti ed è aggiornata in numerosi profili tematici. Sul sito http://www.faracidattica.it/ è riportato l'indice dei contenuti del libro di testo, che costituisce PER INTERO il programma del corso di Organizzazione Aziendale.

Benvenuti al corso di Organizzazione Aziendale

Benvenuti al corso di Organizzazione Aziendale per l'anno accademico 2008-2009. Il corso avrà inizio lunedi' 20 ottobre e si terrà, per una durata di 40 ore, nei giorni di lunedi' e martedi' dalle ore 10 alle ore 13 in aula 15. Il "blog" è uno strumento di ausilio alla didattica svolta in aula ed è integrativo al sito http://www.faracididattica.it/ ove sono pubblicati i principali materiali di riferimento del corso. Attraverso il "blog", moderno strumento di comunicazione su Internet, docente e studenti possono interagire su profili tematici discussi durante lo svolgimento delle lezioni o comunque inerenti la disciplina di Organizzazione Aziendale. Si invitano studenti ed ospiti a fare uso appropriato del "blog", nel rispetto sia delle norme vigenti in Italia su Internet sia di un più ampio e non codificato senso di educazione e rispetto verso gli altri. In bocca al lupo a tutti!
Il docente Prof.Rosario Faraci